Viviamo un’epoca splendida e assurda.
Curatori impeccabili dei nostri musei tascabili, inseguendo l’algoritmo del giorno con l’illusione di un quarto d’ora di visibilità.
Applaudiamo al progresso che ci permette di copincollare una richiesta per avere una risposta che fingeremo nostra.
Il tutto, mentre le nostre sinapsi si godono una meritata vacanza.
È fantastico.
Non proponiamo fughe nel passato o soluzioni estreme.
Proponiamo un piccolo, ostinato atto di resistenza analogica.
Crediamo che un’idea non nasca perfetta da un prompt, ma da uno scarabocchio su un tovagliolo, da una conversazione inattesa, da un errore fertile. E che per vivere, non abbia bisogno di diventare virale, ma di essere messa alla prova.
Il pensiero umano non è un monologo. È una collisione. Si affina per attrito, si arricchisce nel dissenso, si accende nello sguardo dell’altro. È un muscolo che, se non allenato, si atrofizza.
Questa è la nostra resistenza.
Scegliere la complessità invece della semplificazione.
L’approfondimento invece dello scorrimento.
L’autenticità, con tutte le sue magnifiche imperfezioni, invece della perfezione simulata.